05/01/2004
Francesco F.
L'ultimo passaggio sul traguardo di Gil.
Tornare con la memoria al GP di San Marino del 1982 è un salto emotivo facilissimo per chi, come me, ha nel cuore e nella mente molti intensi ricordi di quegli anni e di quel periodo in particolare. Il 25 aprile del 1982 era una domenica coincidente con la festività della Liberazione, avevo 21 anni e mi ero recato ad Imola con mio padre, anche lui appassionato di Formula 1. Non mi trovavo al massimo della felicità: mi avevano appena recapitato, due o tre giorni prima, la cartolina di leva e quindi avevo il morale a terra anche per il disappunto, come sportivo, della nuova porcheria politica che in quei giorni angustiava la Formula 1.
Si erano infatti creati due fronti opposti nel mondo delle scuderie: i team cosiddetti "legalisti", che facevano capo alla Federazione Nazionale presieduta da monsieur Balestre, la FISA, composta dalla Ferrari, dalla Renault e dall'Alfa Romeo. Portavano un ulteriore contributo a questo gruppo anche due squadre come l'Osella e la Toleman (alla sua seconda stagione dopo un 1981 ricco soprattutto di non qualificazioni). Se questo gruppo rappresentava buona parte della storia stessa della Formula 1 (grazie, inutile nasconderlo, soprattutto alla Ferrari), fra i team dissidenti che andavano coagulando intorno ad Ecclestone il nuovo assetto politico della massima formula, vi erano scuderie importantissime e molto vittoriose, soprattutto nel recente passato, come la Williams, la Lotus e la McLaren. Lo scontro definitivo era stato provocato dalla richiesta di intervento dei team "legalisti" nei confronti di Piquet e Rosberg, i primi due classificati in Brasile e sottoposti a verifica: entrambi sottopeso e successivamente squalificati; questi furono lo spunto della rottura. Insomma, la frattura fra le due compagini era profonda e si concretizzò con il forfait da parte dei team "non-legalisti" nel GP imolese.
Così non potemmo gustare le Brabham di Piquet e di Patrese, le McLaren Ford di Lauda, appena tornato alla Formula 1, e di Watson, le Lotus di Mansell e di De Angelis, Keke Rosberg sulla Williams (che alla fine del drammatico 1982 sarebbe stato l'inatteso campione del mondo) e altri team minori sempre molto graditi dal sottoscritto, attento alla lotta per la vittoria quanto a quella per qualificarsi. Parteciparono, certamente ben foraggiati dagli organizzatori, scuderie eternamente in brutte acque economiche, come l'ATS che schierava Salazar e Manfred Winkelhock e la Tyrrell dell'astutissimo patron Ken, che riuscì a venire in Italia raccontando ai suoi compagni di rivolta che li appoggiava al 100%, ma che il suo sponsor era italiano e che se non si fosse schierato, beh, sarebbe rimasto a piedi. Come sempre molto comprensivi in materia economica, Ecclestone e gli altri leader diedero al buon Ken l'autorizzazione. Dunque al via trovammo solo 14 macchine, per di più ridotte a 12 dopo la rottura della Tyrrell di Henton sulla griglia di partenza e dalla prematura fine dell'impianto elettrico sulla Toleman di Dereck Warwick nel giro di ricognizione, un episodio avvenuto proprio sotto ai miei occhi, all'uscita della Rivazza. Una tristezza inaudita dal punto di vista numerico delle presenze.
Ma appena la corsa partì, la passione e la voglia di urlare il nostro appoggio a Gilles, oltre che alla Ferrari, presero il sopravvento. Anni dopo mi capitò fra le mani un libro nel quale il direttore di corsa, Nosetto, segnalò l'esistenza di un patto fra galantuomini in qualche modo sensibili al pubblico pagante: infatti Roberto Nosetto chiese a Villeneuve, Pironi, Arnoux e Prost (i piloti Ferrari e Renault), velocissimi in prova e certo destinati a spartirsi i posti sul podio, di fare un po' di spettacolo fino a metà gara e poi di fare "gara vera". Questa testimonianza è stata resa nota pochi mesi dopo la morte di Gil da Nestore Morosini nel libro de La Gazzetta dello Sport: "Gilles Villeneuve". Nel volume si riporta la perplessità del solo Pironi, che disse: "
Devo pensarci... c'è in ballo il titolo mondiale." Già questa frase è significativa della opinione di Pironi sul ruolo che Gilles sentiva di meritare e che gli stessi tifosi gli assegnavano senza dubbio: quello del primo pilota. Certamente quel giorno ad Imola tutti noi ci aspettavamo una vittoria del velocissimo Gil che guidava, finalmente, una vettura competitiva e la stragrande maggioranza del pubblico era con lui. Tornando alla corsa, le Renault resero ben presto l'anima meccanica e lasciarono le due Ferrari al comando. Davanti si trovava Gilles, con un piccolo margine su Pironi: dal box Ferrari apparve un cartello semplicissimo "slow", cioè piano, intorno al 48° giro (la gara era prevista sui 60 giri); a sette giri dalla fine Pironi attaccò duramente Gilles e passò al comando. Gilles non credette normale, alla luce del cartello già esposto, questo atteggiamento. Il canadese ripassò al comando e dopo una serie di sorpassi reciproci si presentò all'ultimo passaggio in testa; in molti, ed io ero fra questi, ci eravamo già da tempo spostati dai nostri posti per andare sul traguardo, convinti di veder trionfare le Ferrari, certo, ma soprattutto lui, Gilles "Nivolaneuve". Ma alla curva della Piratella (ad un chilometro scarso dal traguardo) Pironi sorprese ancora Gilles, che con lo stesso spirito di scuderia che gli aveva fatto fare per tutto il 1979 il leale secondo pilota, pensando all'interesse del team, non chiuse la porta: altrimenti lo scontro sarebbe stato inevitabile. Così il francese arrivò sul rettifilo d'arrivo davanti, vincendo la corsa, precedendo un deluso, tradito, avvilito Gilles. Sconcerto da parte di tutti.
Uno solo fra i presenti, che la mia foto ritrae, alza le braccia, posso assicurarvelo perché ero lì, sulla linea del traguardo. Quasi nessuno esultò, eravamo veramente tutti lì per questo ragazzo che solo due anni prima faceva carte false per qualificare il peggior veicolo da corsa mai prodotto dalla Ferrari, la 312T5, e lo faceva con la grinta identica di quando in gara si trovava al comando nel 1978, 1979 o 1981 e questo suo atteggiamento lo rese amato per sempre. Torniamo a quel giorno e a quel che ci resta: sul palco di quel GP, Gilles (le foto del tempo lo mostrano benissimo) è scuro in volto e potentemente offeso e Pironi ha il sorriso di chi sa di averla fatta grossa. Nei giorni successivi aumentò il dolore morale di Gilles perché la Ferrari non lo difese come lui si aspettava e non mancò di confessarlo ad alcuni giornalisti: il comunicato ufficiale infatti difendeva la voglia di vincere di Pironi e in questo clima, si arrivò a Zolder.
Quel pomeriggio stavo lavorando: mi telefonò mio padre e mi disse solo: "
Accendi la TV, Gilles è in fin di vita..." La sera, tornando a casa, la notizia della sua morte mi procurò un vero dolore, fortissimo, come se mi avesse lasciato un vero amico. Pironi, purtroppo, non arrivò a fine stagione, schiantandosi nelle prove in Germania, in quell'estate. Iniziò per lui un calvario medico molto doloroso, poi si dedicò alla motonautica. Cinque anni dopo mi trovavo in Egitto, impegnato in un team sanitario internazionale:
non avevamo la possibilità di ricevere notizie fresche dalle TV europee (il satellite non era ancora diffuso), leggevo spesso i fax delle news internazionali nei grandi alberghi. Una mattina mi colpì il nome di Didier Pironi, sul fax si annunciava la sua morte in un incidente di Off-shore. La ferita così si chiuse per sempre con la scomparsa dell'altro protagonista di quella giornata: fu proprio la moglie di Pironi, probabilmente, a scrivere il finale della storia da un punto di vista umano, chiamando i figli, che portava già in grembo quando morì il marito, Gilles e Didier. Vi mando la foto del sessantesimo e ultimo passaggio di Villeneuve sul traguardo di Imola il 25 aprile 1982.